Verso un’agricoltura sostenibile 

Il concetto di agricoltura sostenibile è sempre più al centro del dibattito sulle politiche ambientali e sociali del futuro. Ma di cosa si tratta esattamente?

Un rapporto fragile e delicato, quello tra Uomo e Natura, che l’agricoltura sostenibile interpreta nel rispetto di alcuni principi etici, ambientali ed economici molto diversi da quelli dominanti.

di Erika Facciolla (TuttoGreen)

Sempre più spesso sentiamo parlare di agricoltura sostenibile come di un nuovo modo di fare agricoltura nel rispetto di alcuni principi etici, ambientali ed economici molto diversi da quelli dominanti. In realtà non esiste una definizione univoca o un modello di riferimento per capire cos’è veramente l’agricoltura sostenibile. È più corretto parlare di modelli, di tecniche, di pratiche e di criteri di sostenibilità attraverso cui è possibile fare agricoltura eco-compatibile.

Da un punto di vista ambientale, l’agricoltura è sostenibile se asseconda i processi ‘naturali’ e preserva le risorse della Terra necessarie a sostenere la produzione alimentare. Non utilizza sostanze chimiche inquinanti e dannose per la salute e viene praticata nel rispetto della biodiversità. Tutti principi molto lontani da quelli dell’agricoltura intensiva tradizionale.

Da un punto di vista etico e sociale, l’agricoltura è sostenibile quando non solo si occupa di soddisfare il fabbisogno alimentare collettivo senza creare disuguaglianze, ma tende a migliorare la qualità della vita degli agricoltori, dei consumatori e dell’intera società.

Da un punto di vista economico, l’agricoltura è sostenibile quando dà vita a dinamiche commerciali e produttive eque e solidali, tali da tutelare l’operatore e garantirgli un reddito proporzionato al suo lavoro.

 

Agricoltura sostenibile: dal dire al fare

Gli obiettivi dell’agricoltura sostenibile sono principalmente tre:

  • Rispettare e conservare le risorse ambientali (acqua, fertilità del suolo, biodiversità) tutelando la salute dei consumatori.
  • Sostenere trasversalmente lo sviluppo di nuove politiche di welfare a tutela della società e produrre beni alimentari per tutti.
  • Essere economicamente vantaggiosa per gli agricoltori e gli operatori che partecipano direttamente al processo agricolo.

Per attuare questi propositi esistono tecniche differenti fondate su principi, regolamenti e teorie ben precise. In Italia i modelli agricoli sostenibili più diffusi sono l’agricoltura biologica e quella biodinamica. Negli ultimi anni sull’esempio di altri paesi, inoltre, si stanno affermando anche la permacultura e l’agricoltura solidale o sociale.

"In Italia i modelli agricoli sostenibili più diffusi sono l’agricoltura biologica e quella biodinamica. Negli ultimi anni si stanno affermando anche la permacoltura e l’agricoltura solidale o sociale".

Ma di cosa si tratta esattamente?

La bioagricoltura o agricoltura biologica è regolata da una normativa europea del 1991 che detta le linee guida per una produzione di frutta e verdura BIO.

Si basa su pratiche agricole condotte con sole sostanze naturali, e bandisce l’uso di sostanze chimiche come insetticidi, pesticidi, concimi di sintesi e diserbanti.

Adotta la rotazione colturale per preservare la fertilità del suolo e rispetta la stagionalità di frutta e verdura.

L’agricoltura biodinamica affianca quella biologica, ma è più ‘severa’ perché affonda le radici nella teoria spirituale antroposofica del Mondo postulata dal filosofo austriaco Rudolf Steiner. Essa prevede un approccio olistico al modo di lavorare la terra: un’azienda agricola biodinamica, infatti, è considerata una specie di organismo vivente che opera in stretta sinergia con l’insieme delle forze cosmiche.

  • I principi di questa filosofia sono:
  • il rispetto dell’ecosistema terrestre e delle leggi del cosmo (ad esempio le fasi lunari) che regolano la vita sulla terra
  • l’eliminazione di concimi chimici o altre sostanze
  • l’utilizzo esclusivo di tecniche naturali (compostaggio, ma non solo) per propiziare la crescita delle piante e la fertilità del terreno.

Al di là della teoria, viene da chiedersi, in pratica, quale sia la differenza tra un frutto cresciuto secondo i principi dell’agricoltura biologica o biodinamica e uno derivato da processi agricoli convenzionali.

Mordendo una mela, ad esempio, saremmo in grado di capire se è una mela BIO o una mela ‘normale’?

La risposta è sì e il più delle volte basterà guardarla ancor prima di assaporarla. Una mela biologica non sarà mai bella, grande e brillante come una mela cresciuta a pesticidi e fertilizzanti chimici, ma di sicuro sarà più buona e più sana. Perché avrà imparato sull’albero a difendersi da sola dalle insidie esterne producendo tutti i nutrienti necessari alla sua salute e a quella di chi la mangerà.

È una mela che sa di mela e che fa bene all’ambiente in cui cresce e a chi la consuma. Ecco perché scegliendo frutta biologica, oltre ad aver dato una mano all’ambiente, faremo del bene al nostro organismo e mangeremo qualcosa di più gustoso e naturale.

 

Il ruolo della bioagricoltura nel rapporto uomo-territorio

Ambiente, salute e gestione etica delle risorse nel rispetto della Terra e dell’individuo che vi lavora. Un rapporto fragile e delicato, quello tra Uomo e Natura, troppo spesso minato dal progresso e dalle economie di scala. I modelli di agricoltura sostenibile che mirano espressamente a ristabilire questo equilibrio sono la permacultura e l’agricoltura solidale.

"Ambiente, salute e gestione etica delle risorse nel rispetto della Terra e dell’individuo che vi lavora".

La prima è una particolarissima disciplina agricola messa a punto nel 1978 in Australia dallo scienziato Bill Mollison e dall’agronomo David Holmgren. Parte dalla convinzione che applicando in maniera etica e responsabile i metodi ecologici nei sistemi produttivi agricoli si possa ricreare quell’equilibrio perfetto. In altre parole, la permacultura punta a dimostrare che la sopravvivenza umana è strettamente legata ad un tipo di agricoltura in grado di durare nel tempo, con un impatto ambientale prossimo allo zero.

Obiettivo fondamentale è la gestione etica della terra, nonché la conciliazione fra l’ambiente naturale e quello antropizzato. E per riuscirci occorre Innanzitutto progettare, che vuol dire mettere in connessione tutti gli elementi di un sistema sfruttando le relazioni che li legano.

Attivate queste connessioni occorre che tutti gli elementi del sistema vengano collocati nel posto giusto, perché tutti funzionino efficacemente. Ad esempio: se dovrò irrigare i campi collocherò la cisterna a monte dell’orto in modo che sia la forza di gravità a portare giù l’acqua e non una pompa elettrica.

Parallelamente, l’agricoltura solidale o sociale è uno strumento di riappropriazione da parte dell’individuo del proprio ruolo in società, da un punto di vista professionale, visto che una delle finalità è favorire il reinserimento nel mondo del lavoro attraverso l’acquisizione delle tecniche e le pratiche agricole.

Il consolidamento di questo modello è frutto della collaborazione tra il mondo dell’agricoltura e il terzo settore, delle iniziative promosse dalle cooperative sociali e agricole e di tutti quei soggetti che, a vari livelli, sia nel pubblico che nel privato, stanno contribuendo all’affermazione di un nuovo modo di concepire l’agricoltura e di reinventarne il ruolo, non solo in chiave ambientale ed economica ma anche sociale.

Uno dei principali promotori italiani di agricoltura sociale è l’AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), promotore di svariati progetti formativi e riabilitativi di grande valore sociale. L’ultima iniziativa, in ordine di tempo, è la campagna ‘Glifosato Zero’ nata sulla scia della decisione della Regione Calabria di escludere dai finanziamenti pubblici le aziende agricole che fanno uso di glifosato. L’appello, rivolto a tutti i presidenti delle regioni italiane, è quello di tutelare la salute dei consumatori e di incentivare la produzione di cibo sano e di qualità.

 

Allo stesso modo, le Banche di Credito Cooperativo sostengono da tempo tutti i modelli agricoli sostenibili con iniziative concrete sul territorio. Sì, perché a prescindere dai proclama e dalle belle parole la cultura che occorre alimentare è quella del fare.

Con il microcredito, ad esempio, le BCC hanno supportato piccole start-up e produttori locali nei momenti più delicati. Già, perché la vita di un agricoltore dipende dal tempo e dalla forza – spesso incontrollabile – della Natura che magari trasforma una nevicata fuori stagione in una crisi economica. Ed è il lavoro stesso a fare garanzia per il prestito: una garanzia che è proprio il fare impresa nel territorio.

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