Bleisure: quando i viaggi di lavoro diventano occasioni di svago

È la crasi tra business e leisure, ossia lavoro e piacere, ma allo stesso tempo una tendenza che si sposa con una politica di welfare aziendale che va oltre i soliti benefit.

Ecco come il bleisure fa bene ai dipendenti ma anche alle imprese. Di tutte le dimensioni.

 

di Cristina Maccarrone

Dimenticate quei noiosi e pesanti viaggi d’affari in cui si arriva sul posto la sera prima o la mattina stessa ed è tutto un succedersi di incontri e riunioni per poi rientrare subito alla base. Un modo di viaggiare business che c’è ancora, ma che sta cedendo sempre più il passo anche all’aspetto piacevole del viaggio: essere in un posto diverso dal solito, in alcuni casi mai visto prima e potere andare oltre il tragitto clienti-albergo  godendo di quello che c’è da visitare, dei piatti locali, delle bellezze della città.

Questa tendenza, non nuovissima a dire il vero, ma in atto da qualche anno, ha un nome che è la crasi tra business (affari) e leisure (svago): bleisure per l’appunto. Una parola di chiara matrice anglosassone che sintetizza quello che capita sempre più spesso ai dipendenti: chi si trova in viaggio, anziché tornare decide di prolungare il suo soggiorno “attaccando” dei giorni di ferie o dei permessi.

Lo fa in particolare se è il fine settimana, ma succede spesso anche in un giorno come può essere il martedì o il mercoledì, complice anche il fatto che in un’epoca di “siamo sempre connessi e raggiungibili” grazie a smartphone e wi-fi, in caso ci si debba collegare per inviare un’e-mail o fare una breve call, non è difficile farlo e mantenere così i contatti con il quartiere generale.

 

 

Il boom dei viaggi d’affari e svago

A confermare quello che è un vero e proprio trend ci sono i dati diffusi da SAP Concur che si occupa di gestione dei viaggi e delle spese online per conto delle aziende. Secondo la ricerca condotta tra gennaio e dicembre 2017, i viaggi bleisure sono aumentati del 20%. E durante questo periodo a fare trasferte di questo tipo sono stati 2,2 milioni di persone in tutto il mondo arrivando a costituire così il 10% dei viaggi di affari in totale. Una tendenza che non riguarda solo le grandi aziende ma comincia a diffondersi anche tra le piccole imprese.
Nel dettaglio la ricerca certifica che nei Paesi Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), il 27% dei viaggiatori ha incluso nel proprio ultimo viaggio di lavoro la notte del sabato, molto più di quanto sia successo negli USA, dove la percentuale di chi l’ha fatto è del 19%.

Altri dati in merito sono forniti da Booking.com, in una ricerca condotta nel 2018 su oltre 17mila lavoratori di 24 nazioni e provenienti da 20 settori industriali diversi. Quello che salta all’occhio, è che quasi un terzo (30%) di tutti i professionisti ha accettato il proprio lavoro in tutto o in parte a causa delle opportunità di viaggio d’affari che questo offre, evidenziando come il fascino del potersi spostare esiste, eccome. Questo poi, riguarda in particolare architetti e designer (45%), oltre a consulenti di gestione (38%).

Vale anche per chi sta cercando un altro impiego: il 38% degli intervistati ammette che cercherà attivamente un nuovo lavoro se ciò comporta la possibilità di viaggiare ancora di più. Cifra che sale al 46% per le persone tra i 18-34 anni.

I numeri evidenziano sicuramente un aspetto non trascurabile per il welfare aziendale, ma in anche per l’attrattività dell’azienda in sé (il cosiddetto employer branding): i datori di lavoro che vogliono trattenere con sé i migliori talenti dovrebbero considerare i viaggi come parte intrinseca del pacchetto di lavoro.

E in Italia? Nel nostro Paese questa tendenza non è ancora così tendenza, o meglio solo il 15% delle aziende esportatrici sa di cosa si tratta, come dichiarato al Sole 24 Ore da David Jarach, senior lecturer di Marketing alla Sda Bocconi, dalla Travel 360 Survey da lui condotta. “La maggioranza lo ha associato alla collezione di punti o miglia attraverso i programmi fedeltà di lettori e hotel”. Jarach mette poi in evidenza come siano le PMI a dimostrarsi più permissive per quanto riguarda l’incentivazione di viaggi bleisure, mentre gli ostacoli riguardano per lo più la parte amministrativa. Il business travel viene visto spesso come un costo, eppure – e i dati che abbiamo visto finora ne sono una dimostrazione – influisce molto sul rapporto che si crea tra azienda e dipendenti.

 

business e svago

I vantaggi del bleisure

In concreto, quali sono i vantaggi di un’azienda, che per una trasferta di lavoro prende in considerazione l’idea che il dipendente possa volersi fermare qualche giorno in più, o possa avere delle ore libere per andare in giro, vedere mostre, provare nuove esperienze? Indubbiamente tanti.
 

Attenzione e ascolto delle esigenze dei dipendenti
In primo luogo c’è da dire che quando questa esigenza viene dal lavoratore stesso – come accade il più delle volte – un’azienda che prolunga la trasferta senza ostacolare questo desiderio, si dimostra pronta ad ascoltare chi ha davanti. In due parole, people oriented.

Ma non solo: il bleisure è un altro aspetto di una politica di welfare che ha a cuore proprio il benessere del dipendente. Così facendo infatti lo valorizza sia nelle sue competenze professionali che personali, migliorando la sua vita anche dal punto di vista del puro piacere. Costringere un dipendente a tornare la sera tardi, anziché organizzare la trasferta con quella notte in più e facendolo partire magari a metà mattina del giorno successivo, vuol dire non prendere in considerazione il dispendio di energie e lo sforzo mentale che una trasferta comporta e mettere la produttività al primo posto anziché il suo benessere.
 

Gratificazione e gratitudine
Invece, un dipendente che, dopo aver portato a casa il risultato e avere incontrato un cliente per la prima volta, trova un po’ di tempo per sé stesso, non solo è più contento e propositivo nei confronti dell’azienda, ma si sente gratificato e allo stesso tempo prova gratitudine. Cosa che può riguardare non solo il lavoratore, ma anche la famiglia. Non sono rari i casi in cui i dipendenti “attaccano” il weekend e invitano mogli, mariti e figli a raggiungerli. Va da sé che questo vuol dire andare incontro a quel famoso work-life balance che spesso viene a mancare e che invece è fondamentale per la salute del lavoratore.

In tutto questo, per esempio, un ruolo più importante ce l’hanno piattaforme come Booking.com e Airbnb che permettono ai viaggiatori di trovare soluzioni di pernottamento più convenienti e flessibili. Perché va da sé che i giorni in più sono a carico del lavoratore, ma che la trasferta resta sempre in capo all’azienda.
 

Attraction e retention
Oltre a tenere a mente il benessere del dipendente, aziende che mettono dentro il loro pacchetto di welfare i viaggi bleisure diventano anche più attrattive, ma non solo: lavorano sulla retention. Andare spesso in trasferta e vedere solo aeroporti e hotel, a lungo andare può diventare non solo stressante, ma può ripercuotersi sulla vita privata del lavoratore che, a causa del continuo andirivieni, magari può non avere voglia di partire per conto suo. Con il bleisure invece, alla trasferta business può associare appunto esperienze che forse non avrebbe fatto, come vedere una mostra che c’è solo in quel periodo, una prima a teatro o partecipare a uno show cooking. Tutte occasioni che lasciano dentro quella sensazione di benessere, che non è detto sia facile costruire dentro l’azienda.

 

 

Le (giuste) policy aziendali

Certo, il problema per le aziende è che in merito al bleisure debbano sviluppare le giuste policy. Perché concedere al dipendente di tornare la domenica sera, anziché il venerdì sera, vuol dire sì cambiare il giorno di rientro – e fin qui nessun problema – ma l’ostacolo più grande può restare l’assicurazione. Se un dipendente in trasferta è coperto dall’azienda, è coperto anche quando il viaggio da business è diventato di piacere? È dunque fondamentale regolarizzare il fenomeno e integrarlo nelle procedure, così come regolare gli eventuali rimborsi spese e dare modo di distinguere tra quelle che sono effettivamente fatte per lavoro e quelle nei giorni liberi o dagli eventuali accompagnatori. Inoltre, resta un punto cruciale anche l’opportunità o meno di offrire assistenza al dipendente nella parte “piacevole” della sua trasferta, se per esempio dovesse avere un problema con l’aereo, con i ritardi del treno o altro.

Perché se è vero come diceva Freud che “il prezzo del progresso della civiltà si paga con la riduzione della felicità”, le aziende possono fare tanto per contribuire quantomeno al benessere.

 

 

 

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