Ecovillaggi, tra utopia e realtà

L’ecovillaggio è un luogo fisico e virtuale di sperimentazione, figlio di una concezione tutta moderna della comunità e del benessere sociale, dove si tenta sul serio di vivere a impatto zero.

Alcuni la considerano la più grande utopia del nostro tempo, ispirata ad un concetto di sostenibilità ambientale piuttosto radicale. Per altri, invece, potrebbe essere l’unico modello socio-economico possibile per limitare i danni che l’Uomo ha provocato sulla Terra e per sopravvivere ad essi anche in futuro. Di certo, l’ecovillaggio rappresenta tutte queste cose messe insieme, ma anche molto di più.

di Erika Facciolla (Tuttogreen)

 

L’ecovillaggio è un luogo fisico e virtuale di sperimentazione, figlio di una concezione tutta moderna della comunità e del benessere sociale, dove si tenta sul serio di vivere a impatto zero.

È forse il tentativo più concreto di promuovere il cambiamento per salvare l’ambiente, di fare un uso più responsabile delle risorse del Pianeta e di opporsi alla progressiva – quanto inevitabile – disintegrazione delle strutture socio-culturali del XXI Secolo.

"L’ecovillaggio è un atto rivoluzionario, un desiderio di riscatto, un’assunzione di responsabilità, una scelta di rigenerazione ecologica, sociale e culturale".

È un atto rivoluzionario che invoca un ritorno alle origini. È un desiderio di riscatto dai paradossi della globalizzazione. È un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ambiente. È una scelta di rigenerazione ecologica, sociale e culturale necessaria per plasmare un futuro e un mondo migliore.

 

Un ecovillaggio, tante vocazioni

Ogni ecovillaggio vive più marcatamente la dimensione ecologica, sociale o spirituale a seconda della sua specifica vocazione.

Per alcuni, l’armonia della vita comunitaria si ripercuote positivamente sull’ambiente e deve essere quindi alimentata attraverso il contatto quotidiano, la discussione, il confronto e la comunicazione tra i membri che vivono in un rapporto di cooperazione e solidarietà.

L’idea ambientale è più vivida, invece, in quelle comunità che lavorano per l’autosufficienza alimentare, coltivando orti vicino le case, affidandosi alle energie rinnovabili, riducendo i consumi e limitando l’uso delle automobili.

La dimensione spirituale permea maggiormente la vita delle eco-comunità che credono nel rallentamento sistematico dei ritmi vitali, nella ricerca di un contatto diretto con la Natura, nell’abbandono del materialismo e nell’adozione di alcune pratiche ecologiste come quelle introdotte dalla permacultura.

 

…e nella pratica?

Nella realtà, un ecovillaggio non è altro che un modo di vivere condiviso da una comunità di individui che vogliono stabilire un rapporto di armonica convivenza con se stessi, con gli altri membri della comunità e con l’ambiente. La struttura socio-economica si può considerare diffusa poiché non ci sono differenze tra dimensione urbana e rurale. Tutti gli insediamenti sono riorganizzabili e riprogettabili secondo un unico modello socio-economico, che non prevede stratificazioni sociali.

Il presupposto fondamentale è la consapevolezza che qualsiasi azione umana comporta precise ricadute sull’ambiente. Che tutte le cose e le creature che popolano il Pianeta siano profondamente interconnesse fra loro. Che senza un impegno concreto e una struttura socio-economica alternativa a quella moderna, difficilmente si potrà invertire il processo auto-distruttivo innescato dall’uomo sulla Terra.

"Tutti gli insediamenti sono riorganizzabili e riprogettabili secondo un unico modello socio-economico, che non prevede stratificazioni sociali".

Ogni ecovillaggio si caratterizza per la presenza di una cassa comune a cui tutti partecipano secondo i principi e le modalità stabilite dalla comunità.

Si condividono anche i cosiddetti spazi di servizio per ridurre i costi e alimentare la socialità e si sviluppano metodi di auto-sostentamento e di auto-efficienza energetica interni. Così facendo, si promuove anche la solidarietà e l’aggregazione, sempre nel rispetto del territorio.

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Ecovillaggi: chi, quando, dove, come e perché

Datare la nascita degli ecovillaggi è ancora oggi fonte di dibattito. Nonostante i primi ad utilizzare questo termine furono, nel 1991, Robert e Diane Gilman nel saggio Eco-villages and Sustainable Communities”, la prima esperienza comunitaria di ecovillaggio è stata registrata nel 1962 a Findhorn, in Scozia, in quella che ancora oggi viene soprannominata ‘comunità-giardino’.

In generale, un ecovillaggio nasce dall’aggregazione spontanea di persone che non solo condividono i principi della sostenibilità, ma li applicano a tutti i livelli della vita quotidiana: dalle scelte abitative, utilizzando materiali che si integrano nel territorio circostante come pietra, sughero e legno, passando per le coltivazioni biologiche basate su tecniche colturali rispettose dei cicli naturali della terra, come la permacoltura, fino ad arrivare all’uso di fonti pulite e rinnovabili (pannelli solari, pale eoliche).

Si tratta di una comunità, insomma, che non è riferibile allo stereotipo delle comune hippie degli anni Sessanta, ma ad un concetto molto più moderno e strutturato di ‘tribù sociale’.

"Non si tratta di una scelta puramente ambientalista, ma culturale".

Il luogo – o per meglio dire il contesto – non è necessariamente rurale. Non si tratta, infatti, di una scelta puramente ambientalista, ma culturale, animata dal desiderio di creare una comunità di membri che si aiutano reciprocamente.

Ciò può realizzarsi anche in un anonimo quartiere o in un grigio condominio di città dove, per esempio, si adottano pratiche ecologiche o si utilizzano orti e giardini comuni per provvedere all’auto-produzione alimentare.

E quando il contesto è quello urbano si parla anche di co-housing, ovvero quel modo di abitare collaborativo in cui esistono spazi privati ma anche aree e servizi comuni creati mediante un percorso di progettazione partecipata: una lavanderia, una caffetteria, un orto, un micro-nido per l’infanzia, un car-sharing condominiale o qualsiasi cosa in grado di accrescere il benessere della micro-comunità.

Anche il piccolo borgo di periferia può diventare un ecovillaggio, soprattutto se ha la fortuna di disporre di un accesso diretto a terreni e aree incolte che possono essere convertiti all’agricoltura sostenibile. In questo caso si parla di agricoltura di comunità, o co-farming, ovvero gruppi di persone che perseguono un’agricoltura di sussistenza basata su metodi ecologici e naturali.

 

Ecovillaggi in Italia e nel Mondo

Quella degli ecovillaggi è una realtà ampiamente diffusa in molte regioni del mondo, ma il record spetta agli Stati Uniti con oltre duemila insediamenti e una popolazione comunitaria stimata intorno ai 100.000 abitanti. In Europa, invece, sono Gran Bretagna e Irlanda a contendersi il primato con circa 250 comunità da 5000 membri. C’è anche la Germania, con 100 insediamenti, la Francia (40) e a seguire i Paesi Scandinavi, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo.

In Italia la maggior parte degli ecovillaggi è concentrata nelle regioni centrali della penisola, per lo più in aree rurali in stato di abbandono.

Si tratta di comunità di piccole dimensioni con una popolazione media di 20 abitanti, ad eccezione di Damanhur, in Piemonte, che conta 1.200 membri e Nomadelfia in Toscana che ha superato i 300.

La mappatura degli eco-villaggi e delle comunità ecologiche è realizzata dalla Rete italiana dei villaggi ecologici (Rive) che monitora l’andamento del fenomeno promuovendo le iniziative delle singole comunità.

Damanhur è forse l’eco-comunità italiana più famosa nel mondo. È nata nel 1975 nei pressi di Torino e si estende per oltre 500 ettari sul territorio della Val Chiusella, alle pendici delle alpi piemontesi. Ha ricevuto un riconoscimento dalle Nazioni Unite ed è stata definita ‘Comunità-modello per un futuro sostenibile’. Damanhur promuove una cultura di pace, di solidarietà e di sinergia con la natura attraverso un modello di sviluppo equo e sostenibile.

"Molti ecovillaggi italiani rappresentano piccole esperienze di co-housing, ma si tratta di un fenomeno sociale in netta ascesa".

Molti altri ecovillaggi italiani rappresentano piccole esperienze di co-housing da poche decine di individui, ma si tratta di un fenomeno sociale in netta ascesa che sta pian piano fiorendo in tutte le regioni italiane.

L’esperienza delle comunità ecologiche e degli ecovillaggi rientra in quello che le Banche del Credito Cooperativo amano definire ‘gestione condivisa del territorio’. Banche che non si limitano a finanziare le iniziative delle comunità, ma che suggeriscono spunti, propongono idee e si mettono in gioco per promuovere il territorio dando vita a reti collaborative tra cittadini, istituzioni e imprese. Le BCC sono da sempre attente alla tutela ambientale, al risparmio energetico e, in generale, all’utilizzo consapevole delle risorse ambientali, in coerenza con una filosofia che impegna ogni filiale a promuovere la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. Ecco perché chi entra nel Credito Cooperativo entra in un mondo fatto di cooperazione, di persone e di territori. Un mondo in cui si sostengono le identità locali, le comunità e le piccole imprese e in cui si investe concretamente nella gestione sostenibile e collettiva delle risorse.

 

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